venerdì 22 gennaio 2010

Cinque bambole per la luna d'agosto (Italia 1970) di Mario Bava

Che roba, il Mario Bava del periodo pop art. Con le sue tinte sgargianti, le scenografie plasticose, gli zoom implacabili 5 bambole per la luna d’agosto rientra certamente fra le cose migliori che Bava abbia mai realizzato a livello visivo. Assolutamente geniali certe scene, tipo i cadaveri appesi nella cella frigorifera o le palline di cristallo che rotolano giù per le scale.

Peccato che, di fronte al mirabolante apparato estetico (un po’ da fumetto, un po’ da Andry Warhol), Bava si sia impegnato assai meno sugli altri fronti. La sceneggiatura, in particolare, è inutilmente contorta e spesso delirante, con dialoghi che oscillano fra il ridicolo e il surreale (“La morte mi fa venire sete”), personaggi talmente stereotipati che è arduo provare una qualche minima empatia per le loro sorti e un colpa di coda finale che vorrebbe essere beffardo ma appare soprattutto trash.

Il risultato è un sexy thriller all’italiana intrigante ma fiacco e povero di suspense, che rielabora l’immarcescibile archetipo dei Dieci piccoli indiani (10 personaggi su un’isola, nessun contatto con la terraferma, un assassino che li fa fuori uno dopo l’altro e tanti segreti nascosti) e può essere considerato trait d’union fra il glamour crudele ed elegante di Sei donne per l’assassino e il nichilismo splatter di Reazione a catena. Bava dimostra sorprendente fedeltà alla propria visione del mondo, fatta di sgradevoli personaggi-marionette che si ammazzano l’un l’altro in preda a un’avidità smisurata, ma nemmeno la sua abilità registica riesce a nobilitare più di tanto le sorti di un progetto intrinsecamente stupido.

Per i cultori del trash, imperdibile l’assurda e tonitruante colonna sonora di Pietro Umilani, con l’onnipresente organo Hammond.

Per i cultori delle tette, si segnalano invece i cinque personaggi femminili uno dei quali interpretato dalla ventiduenne Edvige Fenech.

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